David Lynch è considerato uno dei migliori cineasti delle ultime generazioni ― io sono uno di quelli che è d’accordo ― è amato e odiato ma nessuno può dire di essergli indifferente. Nel 1984 diresse “Dune“, un film tratto dal romanzo di Frank Herbert, un medioevo fantascientifico di sconcertante bellezza, gotico, magico.
In un momento di questo film, il “mentat” (computer umani) Thufir Hawat viene catturato dalla casa Harkonnen, nemica della famiglia Atreides ― governata dal duca Leto Atreides il Giusto ― a cui Padisha Shaddam IV, imperatore dell’universo, ha affidato il controllo pro tempore del pianeta Arrakis, chiamato anche Dune.
Arrakis è un pianeta desertico e ostile, dominato da vermi giganteschi. Dune è fondamentale per l’intero universo, è l’unico mondo in cui si possa estrarre “la spezia“, il “melange“, una risorsa indispensabile.
Nella guerra tra le due case per il controllo di Dune, il barone Vladimir Harkonnen riesce a catturare Thufir Hawat, gli applica la valvola cardiaca ― la impianta ad ogni schiavo ― e gli inietta un veleno.
Il barone gli consegna un gattino con attaccato un topo, inseriti entrambi in una struttura che li contiene, poi lo informa che, qualora volesse sopravvivere, dovrà leccare il corpicino glabro di quel gatto, perché solo così potrà ricevere la dose quotidiana di antidoto che gli permetterebbe di vivere ancora.
Un piccolo inciso, con tutto il rispetto per la nuova versione del film che sta per uscire, difficilmente sarà mai soltanto paragonabile a questa anche se, in ogni caso, non è questo il tema di questo pezzo.
Thufir Hawat era uno, la coercizione può funzionare contro i singoli, contro i pochi, non contro i molti o i moltissimi e quindi non per un popolo. Se i nemici sono potenzialmente tanti allora vanno divisi, vanno fatti combattere fra loro. Certamente il divide et impera aiuta la gestione ma non era abbastanza per questo frangente.
Cosa c’è di meglio che far lavorare il nemico, e anche con grande fatica, per fargli realizzare i tuoi programmi? È questa la migliore di tutte le tattiche, convincere il nemico che il suo interesse è il tuo, lasciare che sia lui stesso a costruire la trappola in cui si infilerà inerme e inconsapevole.
Prima la paura, la pandemia, la morte che falcia senza pietà nella pianura padana, i convogli di Figliuolo a Bergamo, la televisione unico occhio sul mondo che ti diceva solo che stavamo per morire tutti. Poi la detenzione, le privazioni, la devastazione psicologica, sociale, economica. Infine l’annuncio della “salvezza“.
E allora il gregge ― senza immunità ― si è messo in fila per farsi inoculare. Dopo decenni di governi mai eletti, quasi sempre col partito ossimoro, alias partito bestemmia, e infine anche con il suo omologo, quei gatekeeper usati come pifferaio magico per catturare tutti i tonti mossi dalle migliori intenzioni, si sono tutti calati subito i calzoni.
Ma i recalcitranti erano troppi, allora si è spudoratamente ricattato, minacciato, instaurato una campagna d’odio violenta, pericolosa e incivile.
Oggi quelli che si sono fatti inoculare senza lubrificante sono davvero tanti, qualcuno ci ha pure goduto, qualcuno non se ne è accorto tanto ci era abituato, qualcuno lo ha fatto a malincuore e si è sentito violentato, qualcuno, recalcitrante si è arreso dolorosamente. Altri no.
Quelli che si sono fatti fottere sono oggi nella situazione di Thufir Hawat, siamo alla terza dose, vi stanno dicendo che quella roba ha effetto per pochi mesi, l’inoculatura sarà permanente, periodica, continua.
Dovrete leccare il corpicino glabro di quel gattino ogni giorno che vi resta da vivere
Io aspetto il Kwisatz Haderach, Paul Muad’dib, figlio del duca Leto Atreides il giusto, aspetto la tempesta dei Fremen, aspetto che finalmente su Arrakis piova per lavarne tutte le lordure.
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