domenica 27/11/20
Per Gigi Proietti, Roma 2 novembre 1940, Roma 2 novembre 2020
Quando mio figlio era più piccolo, quando aveva meno di cinque anni, e già andava a fare teatro, si è “scontrato” un’altra volta col padre che gli è toccato in sorte, e si è scontrato, immagino, positivamente.
Era l’età in cui si comincia a dire le parolacce per sentirsi meno bambini, ma era anche l’età in cui si ha ancora il timore dell’inesperienza, della incoscienza della misura, tanto che lo vedi proprio che ti guardano per imparare, per individuarlo questo limite che tu gli devi dare, o non dare.
Io di tanto in tanto, chiudevo la porta della stanza ― perché sono peggio di loro ― e gli davo il permesso di sfogarsi dicendo tutte le parolacce che normalmente, fuori da quella porta, non poteva assolutamente dire, era una catarsi, era un regalo e non solo.
Si rese conto così che la libertà è difficile da godere appieno perché, senza limiti, il limite sei tu e, in questo caso, le parolacce ― pochissime ― che conosceva: “cacca”, “merda”, che già rappresentava un traguardo successivo, “culo” e poco altro.
Pensai che forse, visto che non solo era portato per la recitazione, ma era ancora inconsapevole dell’emozione di farsi trascinare da un personaggio, potevo provare a regalargliene uno che facesse al caso suo.
Cercai con l’iPad un video su YouTube, digitai er…cava…jere…e uscirono subito i risultati…
Vieni Billy, guardiamoci questo pezzo, è Gigi Proietti, è bravissimo, fa ridere…lui venne e ci accoccolammo a vederlo, durava poco più di due minuti.
Lui lo guardava ed era rapito dai tempi di questo grandissimo commediante, dalla mimica, dal dialetto romanesco, letteralmente rapito, Davide, Golia, il coatto, “ ‘a sò io a ssò…”, le moltiplicazioni dei figli e dei duelli, i morti, l’invincibile cavajere nero…fino al finale, quando arrivò: “nun je devi caca’ ‘r cazzo!”
Allora sgranò gli occhi e aprì la bocca per la meraviglia, però dentro c’era pure un sorriso incredulo, mi guardò e cominciò a ridere “ahahahaha, nun je devi caca’ er cazzo! nun je devi caca’ er cazzo!” ripeteva in continuazione saltellando sul letto e rideva, rideva…
Allora cominiciai a recitarla a piccoli pezzi, e lui con me, un poco alla volta, fino alla fine e poi ricominciavamo, il premio della parolaccia finale, il romanesco, la mimica, la preparazione allo sfogo erano promesse di gioia e liberazione, intanto il personaggio lo prendeva e lui si conosceva, era bravo, tanto bravo che alla fine lo filmai col telefono, lui mi permise di farlo.
Aveva un incisivo in meno in quel periodo, un capello lungo e riccio, era magro come uno stecchino, irrequieto, camminava sul lettone e recitava, questo è uno dei filmati che custodisco più gelosamente.
Forse è allora che ha davvero fatto sua la passione per la recitazione, sono poi seguite molte occasioni in cui ha potuto mettere alla prova le sue capacità ma questa, almeno per me, resta la più intima, la più bella, la più soddisfacente.
In ogni caso, a Billy, nun je dovete caca’ er cazzo!
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