Sono inciampato in notizie inedite sull’epilogo di quest’uomo, Bettino Craxi, notizie di cui deciderò cosa fare fra qualche tempo. Intanto questo mi ha provocato delle riflessioni importanti su una fase decisiva della nostra storia, indissolubilmente legata al suo destino.
Oggi viviamo una situazione i cui prodromi sono legati indissolubilmente alla distruzione di quella prima Repubblica di cui Bettino Craxi fu il massimo esponente, l’arrogante patriota che cercò di rendere grande il nostro paese.
Qualche tempo fa in televisione stavano per dare il film Hammamet, di Gianni Amelio. Era uno di quei fine settimana in cui mio figlio, dodicenne, stava con me. Ritengo di avere un buon rapporto con lui, è un ragazzino simpatico e spigliato, sebbene meditabondo, con lui mi confronto sempre in modo franco, allora comincio a dirgli che, per vari motivi, sono curioso di vederlo e che, almeno stasera, deve cedere il passo: il film che vedremo dietro le pizze poggiate sul tavolino del soggiorno sarà quello.
Era evidente che gli stavo trasmettendo un interesse inusuale ― differente dall’allegria che potevo fargli pregustare parladogli di un film dei Monty Python ad esempio ― era un trasporto più profondo, una nostalgia per un orgoglio perso, mi provocava tristezza mista a un desiderio di rivalsa.
Dopo una breve contrattazione sui progetti dell’indomani il patto è sancito, però a questo punto vuole necessariamente sapere una cosa, è troppo curioso:
“Papà, cos’è un Craxi?”
Come descrivere il politico più autorevole e carismatico ― questo il mio insindacabile parere ― della prima Repubblica, l’unica vera epoca democratica che il nostro paese abbia mai vissuto, faticosamente ritagliata nell’angusto spazio di manovra fra due blocchi opprimenti, come si può definire il primo e unico periodo di florido benessere del nostro paese, il prestigio poi ceduto a questi feudatari asserviti, come si può definire “un Craxi“?
Il quadro generale della stagione delle stragi di mafia, delle bombe apparentemente insensate, di “mani pulite” e “tangentopoli” dei primi anni ’90 è ormai chiara a molti, almeno a quelli che hanno custodito faticosamente un senso critico ma, ancora oggi, con un trentennio a separarci da quello spartiacque così determinante, restano troppi aspetti oscuri.
Mi sono sempre chiesto il motivo che ha spinto quelli che erano arrivati dopo le monetine al Raphael, avrei voluto capire perché avevano traghettato con tanta passione l’Italia in quella schifosa palude europea. Poi l’ho capito, e anche troppo bene.
La Prima Repubblica ― soprattutto Craxi ― era ingestibile per i programmi apocalittici che oggi stiamo vedendo giungere all’epilogo. Quest’uomo, questo politico enorme, nel suo esilio ad Hammamet ci ammonì amaramente sull’incombente limbo/inferno inscritto in Maastricht, quello per cui gente come Enrico Letta vorrebbe (farci) morire, parafrasando il sottotitolo del suo abominevole libro.
“Cancellare il ruolo delle Nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire. Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare“
Bettino Craxi
da “Io parlo, e continuerò a parlare. Note e appunti sull’Italia vista da Hammamet”, Bettino Craxi, Mondadori, 2016
Del resto un uomo con amor patrio come Bettino Craxi difficilmente avrebbe accettato una più che improbabile légion d’honneur come hanno entusiasticamente ― e più che meritatamente ― fatto: Franco Bassanini, Emma Bonino, Carlo De Benedetti, Massimo D’Alema, Piero Fassino, Dario Franceschini, Sandro Gozi, Enrico Letta, Giovanna Melandri, Roberta Pinotti, Giuliano Pisapia, Romano Prodi, Beppe Sala, Walter Veltroni, Stefania Prestigiacomo, Franco Frattini, Claudio Scajola, quest’ultimo magari “a sua insaputa” e, infine, Liliana Segre.
I sicari di Tangentopoli sono stati quelli per lui meno dolorosi, perché i mandanti erano lontani, certo gli esecutori non lo erano affatto, ma gli amici, “i compagni“, e soprattutto parte della famiglia, furono quelli che gli fecero male in maniera esiziale, lo colpirono vigliaccamente proprio quando era più debole, vulnerabile, indifeso. Colpirono quel cuore appassionato che lo aveva portato nel 1983, sull’onda del successo del suo partito socialista, ad essere un Presidente del Consiglio eccezionale.
In quest’epoca di mezze calzette, prestate a interessi alieni a quelli del popolo ― a quelli di ogni popolo ― bisogna riscrivere la storia di quest’uomo, questo immenso statista che rese un grande servizio alla nazione impone che gli venga restituita verità e giustizia.
La sua era un’epoca in cui parlare di patria aveva un senso, non si veniva tacciati di fascismo, era un’epoca in cui il moralismo affettato dava la nausea perché era l’etica che contava, e anche realizzare cinicamente quelle cose che essa stessa esigeva, nel dilemma tra forma e sostanza la prima cedeva il passo, e così la civiltà prosperava, la società migliorava, non progrediva come fa un cancro, come oggi che viviamo un progresso nefasto che viene addirittura celebrato.
Bettino Craxi, e di conseguenza i socialisti, si trovarono davanti a un dilemma che dovettero risolvere:
“rubare“ 1 o vendersi allo straniero?
Scelsero il bene del paese senza badare alla forma, scelsero con il cinismo dei generali sul campo di battaglia, perché se è vero che “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi” (Carl von Clausewitz) è altrettanto vero il contrario.
“Rubarono” per non lasciare l’Italia allo straniero
E non era neanche esatto definire quello che succedeva “rubare“, inoltre “rubavano” tutti, anche quelli che prendevano i dollari e i rubli “rubavano“, o meglio, erano proprio loro che lo facevano, i socialisti finanziavano la loro politica, ma questo fu solo lui ad ammetterlo alla Camera, una ammissione politica, lo fece con la sua autorevolezza, con il suo spessore, con quell’etica che volava anche più alta delle regole infrante ipocritamente da quella intera, pavida, ammutolita, ipocrita platea. Già, le regole, quelle che in teoria dovrebbero difendere chi non ha forza, chi non ha “cassa”, ma non è mai stato così, le regole difendono, come hanno sempre fatto e sempre faranno, solo il potere precostituito.
Lui seppe prenderselo il potere, cercarono di cooptarlo, cercarono di corromperlo, cercarono di ricattarlo, infine provarono a ucciderlo, ma fallirono, ripetutamente. Ebbero però poi successo nel distruggerlo, grazie soprattutto a chi gli era vicino, ne organizzarono addirittura la damnatio memoriae, quella che io, oggi, nel mio piccolo cerco di scardinare.
“E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su appartati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche operative, hanno ricorso e ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’Aula, responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.”
Bettino Craxi è stato forse l’unico uomo politico che io abbia mai sentito proporre al primo, ingordo, mondo ― dove ci aveva fatto sedere da grande nazione ― il taglio del debito del terzo. Lui avrebbe voluto emanciparlo dal controllo e dallo sfruttamento dell’avida e viscida finanza internazionale, e ci provò davvero, a differenza di quelle sedicenti “anime belle da salotto“. Proprio quella finanza, quelle élites, che oggi hanno un loro emissario a capo “tecnico” ― aggettivo eufemistico che in realtà sta per nominato-da anziché eletto da noi ― dirci “spero che coloro che da oggi saranno oggetto di restrizioni possano tornare ad essere parte della società con noi“. Lui questi sciacalli abietti, questi “vili affaristi“, li avrebbe tenuti lontani dalle poltrone che occupano oggi in maniera a mio parere abusiva.
Conto che questo sia solo un piccolo assaggio di quanto c’è da recuperare sulla memoria del presidente che dimora per sempre in terra araba.
“Sui cadaveri dei leoni festeggiano i cani credendo di aver vinto. Ma i leoni rimangono leoni e i cani rimangono cani”
Proverbio arabo
1 “rubare” non era un furto, era una cresta usuale in politica che facevano tutti, compresi quelli che erano pure finanziati dal blocco atlantista o da quello filosovietico, lo uso virgolettato perché si tratta di una cosa che anche Craxi conobbe “quando ancora portava i pantaloni alla zuava” (semicit.)
Foto di copertina frame dal film “Hammamet” di Gianni Amelio 2020
Scarica QUI il “Saggio su Proudhon” pubblicato da Bettino Craxi nel 1978 su l’Espresso
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