mercoledì 01/07/20
Il 26 giugno è stata la Giornata Mondiale contro la Tortura.
Su un gruppo letterario qualcuno ha postato questa struggente poesia di quello che è stato il mio vero riferimento politico della vita Alexandros (Alekos) Panagulis.
Lo è stato grazie al libro “Un Uomo”, scritto dalla sua compagna Oriana Fallaci, che lessi nei pomeriggi assolati dell’estate della mia seconda media, provando una empatia e una stima infinita per questo eroe moderato e fermo, implacabile, civile.
Conobbi pure, in un tempo assai posteriore, un suo grandissimo amico, un poco offeso dal fatto che la Fallaci non lo nominasse mai nel libro, Manfredo “Freddi” Scalfati, una persona dal grande cuore e dal grande cervello, suo il circolo di piazzetta Nilo a Napoli dedicato proprio al suo amico e compagno socialista (non marxista) greco.
Alekos Panagulis fu tradito e assassinato dopo la liberazione della Grecia dall’orrendo regime che lui contribuì pesantemente a indebolire, fu tradito e ucciso nel 1976 da chi doveva celebrarlo per quel che era ― un eroe della liberazione dal regime dei colonnelli ― perché troppo integro per loro.
Dalla lettura di quel libro nacquero molte mie speculazioni sulla natura dell’essere umano stesso e della sua socialità.
La mia dolorosa disillusione nacque allora, mentre scorrevo quelle pagine così intense e laceranti. La domanda era sottintesa, perché sacrificarsi per il bene comune? A che scopo se poi non solo non ricevi riconoscimenti ma risulti anche essere un elemento scomodo, di cui si libereranno quanto prima? In quel momento scoprii pure che non avrei potuto sottrarmi al pensiero libero, nessun prezzo sarebbe mai stato più alto che provare a farlo.
Una condanna a vita scoperta nella pre-adolescenza grazie alla storia di uno dei pochissimi eroi che resista al tempo.
Panagulis scrisse molte poesie, questa racconta delle sue torture.
Legato mani e piedi
a un letto di ferro
e le catene
costringono il corpo all’immobilità.
Corvi attorno a me
vogliono straziarmi.
Sono schiavi dei tiranni
e hanno sembianze umane.
Con legni percuotono le piante dei miei piedi,
mi spengono sigarette sul corpo,
sul mio viso insanguinato
appoggiano le canne delle loro pistole
e urlano senza fine.
Mi insultano e gridano minacce.
Loro che hanno disertato
chiamano me disertore.
Loro che hanno tradito
dicono a me traditore.
Loro su cui il Popolo sputerà domani
sputano su di me.
Mi chiamano puttana,
incapaci di vedere
la forza interiore e la verità
nelle ingiurie e nell’ira di me incatenato.
Mi chiamano puttana
e la frusta
lascia segni sul mio corpo,
ferite nuove,
ferite che si spalancano incredule.
Sulla camicia di carne
i rivoli di sangue
cambiano colore.
Ma continuano a picchiare
e ogni tanto
con nuove torture cercano
di gonfiare il dolore.
Le mani che mi tappavano
il naso e la bocca
le mordevo.
Ma adesso
che una coperta mi avvolge la testa
il cielo
scende sui miei occhi
colmo di stelle.
E sul mio petto
crollano montagne,
sirene allucinanti
fischiano nelle orecchie.
Il corpo sussulta senza speranza
per un po’ d’aria,
Immerso nel sudore.
Per un po’ d’aria,
per un po’ d’aria,
un po’ d’aria soltanto…
suoni e risate
insulti miserabili e vili.
Ma perché?
Palpano i coglioni dell’Incatenato,
senza avere fretta…
Mi spiegano cosa faranno,
senza avere fretta…
Aprono cassetti,
ne estraggono aghi,
senza avere fretta…
Qualcuno di loro
(come sempre)
mi… consiglia
(recita la parte da buono).
Ma ormai non lo ascolto neanche
e così cominciano.
Mi infilano dentro l’uretra un ago
(sottilissimo, di ferro).
Brividi in tutto il corpo,
l’altro estremo dell’ago
ora lo riscaldano…
I lamenti,
le risate sommesse.
Le risate ascoltate,
le loro risate…
Senza voce, stanchi, sudati
incapaci di inventarsi altro,
tutti insieme
mi colpiscono gridando…
Una macchina vicino muggisce
e solo una voce umana
s’ascolta nel tumulto.
Una radio.
Come impazziti mi percuotono,
con le mani e con i piedi.
Tutti insieme…
Sui muri e sul pavimento
si proiettano fiori di fuoco.
Fiamme di un altro mondo,
ballano ritmi sfrenati.
tutto gira
e presto si perde…
Mi ritrovo in un’altra stanza,
piccolo il cambiamento,
le catene mi fanno ancora compagnia.
Le facce sfocate
spine d’odio
si piegano verso di me.
Cresce il tono delle loro voci.
E nuove facce con quelli,
ma tutte uguali le espressioni.
E uguali le uniformi,
cos’è che si trova
sul risvolto dell’uniforme,
qualche antico simbolo?
Di Ippocrate
hanno dimenticato il giuramento….
Scene di vita.
Ombre nere,
scene che ho vissuto
Ma quale ricordare per prima?
La memoria dolore.
La solitudine?
Dolore anch’essa.
Dolore compagno del dolore.
È la nostra vita.
Alekos Panagoulis , Dicembre 1971
Proprio per il rispetto che porto a questo eroe assassinato quando avevo appena 5 anni devo aggiungere un paio di cose semplici ma incisive.
I regimi totalitari esistono ancora e, sorprendentemente, non necessita andare in Nord Corea o in Ucraina per toccarli con mano.
Con fattezze diverse ci viviamo proprio dentro: con la nostra ignavia sopportiamo strappi esiziali alla Costituzione e più che drastiche limitazioni ai nostri diritti, in un progresso malato, un progresso (nota 1) proprio come quello di un cancro.
Questi regimi, a differenza dei precedenti, sono portati avanti dai signor nessuno, da fantocci senza neanche lo spessore dei golpisti, sono regimi telecomandati, dei videogiochi perversi e inafferrabili eppure a loro modo orribili, meno cruenti e brutali nelle apparenze eppure pervasivi, ineluttabili.
Sono regimi educati, nei quali non succede quello che accadde ad Alekos Panagulis ma nei quali vieni nascosto, cassato, zittito, messo in sordina o impelagato in guai di ogni tipo, uno stillicidio ma senza macchie di sangue, senza segni di violenza apparenti, senza tortura.
Dovremmo vedere ma non riusciamo: analizziamo il fascismo, il regime dei colonnelli, lo stalinismo, il nazismo, ma le storture attuali, la tecnologia del controllo, il pensiero unico propagandato, siamo capaci di rilevarli?
Ho letto “Un Uomo” che frequentavo la II media, ho frequentato il circolo socialista di Napoli intitolato al suo protagonista, ritengo che dovremmo rendere giustizia ai suoi ideali smascherando questi vergognosi pupazzi del vero potere, invece non facciamo altro che lasciarci governare così malamente da questi insulsi figuri per conto (ignoti) terzi.
La banalità del male ha la voce nasale di un pessimo azzeccagarbugli dauno e la pettinatura perfetta di un ragazzetto ambizioso della periferia napoletana, l’aspetto della grisaglia di espertoni ignobili e le ragnatele che si formano fra i banchi del parlamento, ciclici finti ribelli e la supponenza di giornalisti venduti fungono da contorno.
Siamo immersi nel falso ideologico, nella falsità generale, nella menzogna più completa.
Perdonaci Alekos.
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