Riflessioni Senza Categoria

Il circo del Circo: i Maneskin

Lo ammetto, sono prevenuto, detesto tutto quello che rappresentano.

09/07/22

Sì, lo confesso, sono prevenuto, li schifo senza averli mai ascoltati ― e lo scrivo mentre ascolto “One size fits all” di Frank Zappa ― chi è che schifo? I Maneskin ovviamente.

Stasera questi adolescenti cresciuti a gender-fluid e puttanate “politically correct“, concetto che in realtà impone il contrario di quanto lascia credere, faranno le scimmiette ammaestrate del pensiero unico al circo, che sarebbe il posto più corretto, ma non al circo purtroppo, al Circo Massimo, offendendo la storia di un popolo che seppe essere glorioso, prima di loro, prima di quelli che li incensano e prima di chi ha concesso loro questo potere e la facoltà di incensarli.

Normalmente cerco sempre di dare un giudizio su qualsiasi cosa solo quando so di cosa sto parlando, magari parlo di un film perché l’ho visto, di musica che però l’ho ascoltata, per esempio, nonostante sia preso da “Gomorra” del conclamato plagiatore Robbérto Saviàno il film di Matteo Garrone è magnifico, la serie Tv invece è una vera mappìna1, sempre e solo a mio parere sia chiaro, ma io questi smandrappati dei Maneskin non li ho mai ascoltati e nemmeno li voglio ascoltare!

Fabius Maximus Cunctator, il Temporeggiatore, è il motivo del nome della “Fabian Society

In realtà non so come sia stato possibile perché è stato quasi più difficile del non farsi inoculare da Figliuolo ― a proposito, caro generale Pappagone: sùca! ― ma sono riuscito a non sentire mai una singola nota di quelle schifezze ambulanti.

Li trovo osceni, e non certo formalmente, sentivo David Bowie, i Genesis di Peter Gabriel vestito da Britannia e i Velvet Underground di Lou Reed che ero ancora preadolescente, immaginatevi la mia “destabilizzazione” di fronte a un finto “ricchiòne“, con la calza a rete stracciata, truccato da sembrare una zòccola sotto il lampione di una zona industriale di notte…

Li trovo osceni nel servire a moltitudini di rincoglioniti una finta ribellione apparecchiata dal sistema, quella dinamica che voleva denunciare Peppino Impastato quando si scagliava contro la libertà del sesso e della droga negli anni settanta, sosteneva servisse a distogliere i veri rivoluzionari dai veri problemi, mi viene in mente anche Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni (Segnalo anche la colonna sonora dei Pink Floyd, non me ne vogliano i Maneskin). Sono osceni perché sono i pifferai magici dei nostri poveri e tormentati figli.

Figli che anche grazie a questi insulsi pseudo-artisti si sentono “ribelli” essendo i più penosamente conformi, mettendosi la mascherina, facendosi inoculare, facendo i “ricchiòni” anche se non lo sono ― perché se lo sono che vivano con felicità la proprie inclinazioni ― ragazzi che se ci provano con una ragazza sono terrorizzati sia qualificabile violenza ma se invece ci provano con qualcuno del loro stesso sesso magari ricevano applausi, consensi unanimi e incoraggiamenti.

Ma torniamo a loro, a loro che hanno addirittura aperto il concerto di Las Vegas di quelle penose cariatidi ottantenni, ormai anche loro da decenni pienamente aderenti al pensiero prog-dem globale, quelli che si diedero il nome di una canzone di Bob Dylan ― gran massone quest’ultimo peraltro.

Bene, non riesco proprio ad ascoltarli, la mia prevenzione mi fa già immaginare gli arrangiamenti di chi li ha pompati che mi salgono come un rigurgito acido, il fastidio dell’arricchimento del sound fatto dal tecnico del suono per nobilitare quella palude musicale, l’irritazione delle mani invisibili che hanno tirato tutti i fili giusti per fargli fare una carriera folgorante, l’orrore dei maghi che hanno mescolato tutti gli ingredienti nelle giuste dosi.

Certo il materiale di partenza non poteva essere proprio pessimo ma di certo mai neanche troppo buono, perché gli artisti veri non sono malleabili, non sarebbero mai andati bene, per queste cose ci vogliono degli utili idioti che non potrebbero mai osare di camminare con le loro gambe in autonomia.

Insomma, non ce le faccio, non penso che ce la farò mai, cercherò di evitarli il più a lungo possibile, spero di riuscirli a sentire quando sono già destinati a un repentino declino se non mai.

Rivendico il mio diritto a negargli le orecchie, il cervello e il cuore e, ad ogni buon conto, sono preparato al peggio, io ho l’antidoto (v. sotto)! Le note giuste per attempati male abituati perché usi ad ascoltare musica spesso, se non sempre, di qualità, e mai il “circo del Circo” di stasera.

Oggi, specie se situati nell’area dell’Urbe, potreste necessitare di un ascolto minimo di 5/10 minuti, consigliamo in ogni caso l’album completo e senza interruzioni per un effetto sicuro e risolutivo.

1 mappìna: panno fatto solitamente di lino, qualche volta ricamato e tinto, per usi vari: tovagliolo, tovaglia, per l’acconciatura femminile ecc. m. se riferito a oggetto rimanda allo strofinaccio, se in senso retorico funge da variegati insulti. “Si’ na mappina” se indicato a un uomo può far riferimento al suo essere mal ridotto, da niente, licenzioso. Se indicato alla donna l’allusione è per lo più alla liceità dei costumi.

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Illustrazioni Federica Macera