19/03/23
Sono appena tornato dal dare l’estremo saluto al padre di un carissimo amico, persona splendida lui come il padre suo, spiace ma è umano quanto ineluttabile, proprio come la sofferenza che comporta.
Stamattina, ospite dei miei, ho avuto ancora una volta il piacere di abbracciare il mio, con cui non ho avuto mai un rapporto idilliaco ma è e resta il mio pilastro, anche quando ci sbatto violentemente contro. Questo privilegio ha reso più amara l’incombenza emotiva che mi aspettava.
Lì ho incontrato altri amici, padri pure loro, preoccupati per i propri figli. In questo giorno di San Giuseppe, padre di un figlio non suo, un figlio speciale, che ci ha reso “cristiani“, nell’accezione più alta che, nella mia splendida lingua napoletana, sta per “essere umano” ― pervaso magari da valori positivi ― più che credente, più che fedele.
Facebook mi banna molto spesso, mi distrugge la memoria, come pure YouTube mi ha cancellato il canale, eppure talvolta, pregevoli ricordi tornano a galla, proprio grazie a quella schifezza di Zucchina.
Tre anni fa, a farsemia esplosa, la madre di mio figlio lo aveva segregato in casa, soprattutto evitava che io lo vedessi, inizialmente addirittura lo andavo a trovare e lo vedevo attraverso le sbarre del cancello della sua villa.
Cercai di farlo passare attraverso questo dramma in modo giocoso, gli insegnai che i guanti che lei gli imponeva ― ogni privazione in realtà ― erano utili solo per riempirli d’acqua e farli poi scoppiare, gli insegnai che le mascherine chirurgiche erano inutili anche per carnevale, che quello che stavamo subendo era ingiusto e dovevamo usare ogni energia positiva per restare umani, al contrario della quasi maggioranza dei deficienti che ci opprimevano. Avremmo resistito con l’umanità profusa dai nostri sorrisi e sì, io sono immensamente fiero di aver dato tutto me stesso per questo, per lui, per me, per chiunque altro meritasse, pochissimi.
La “festa del papà” ― per i deficienti “genitore1“― ebbe un sapore di amuchina ma la digerimmo, la sconfiggemmo, riuscimmo a prevalere.
A seguire il post che feci su Facebook quel giorno, solo leggermente editato perché, sempre, quando riprendo in mano qualche scritto, c’è qualcosa che non va e devo frenarmi per non riscriverlo del tutto, ma ha prevalso la determinazione a conservare quei momenti nella loro originalità.
Era il 19 marzo 2020, tre anni fa.
In tempi di coronavirus bisogna adattarsi e qualche tiro col pallone sgonfio da basket, nel giardino di casa sua, diventa una grande occasione di divertimento. Già da quando lo chiamo fuori dal cancello, è sul terrazzo con la madre ― lo sento ma non lo vedo ― risponde con quell’entusiasmo che gli adulti dissimulano urlando forte: papà!
So che sta subendo la vestizione fatta di mascherina e guanti. Lo aspetto, con calma, pregustando il momento in cui vedo le sue gambine magre e veloci scendere i gradini delle scale verso il giardino.
Gli ho portato il libro sugli “animali da record” che mi aveva chiesto in extremis, mentre scendevo di casa per raggiungerlo, oltre alle zeppole ripiene di nutella che gli ha preparato la nonna, ma è lui a darmi un regalo bellissimo, impossibile da comperare e che non esisterebbe se non avesse davvero voluto darmelo.
A parte gli “stickman” padre e figlio, il grande tiene in mano una macchina fotografica e il piccolo lo segue di fianco, vicino, sopra ci scrive “Super Papà Fotografo”, apro e dentro gli “stickman” si tengono per mano, sempre se quelle sono mani.
Il regalo è diviso in tre simboli del “papà”.
Il primo è un orologio dei minions, che ha un significato che è bellissimo, dice che lo faccio divertire sempre, si sbaglia ovviamente, inoltre so che quando sarà adolescente mi massacrerà però adesso è puro amore e me lo godo.
Il secondo simbolo è una penna ormai inutilizzabile, gliela presi anni fa da Tiger, a forma di sardina, è anche priva di tappo-coda, a simboleggiare di quando andavo a pesca sott’acqua, gli sarà rimasto impresso “il pesce leggendario” che fece scalpore nel villaggio quattro anni fa (oggi sette NdA), conosce il mio amore per l’elemento, mi gratifica molto la sua attenzione.
Ma non bastava ― o semplicemente non c’è due senza tre e la cosa sarebbe rimasta monca ― e allora eccola, la gomma per cancellare a forma di “M”, la mia iniziale.
Aveva un sorriso prepotente e un regalo più bello non poteva farmelo.
Abbiamo giocato come bambini per quasi due ore a qualsiasi cosa, in giro per il giardino, alla facciaccia brutta delle angosce che provano ad assediarci e limitarci, anche i limiti si possono aggirare, eludere, infrangere così come i regali si possono inventare, e sono le cose più belle che ti possano capitare.
Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo.
Voltaire
Sarò di parte, ma al lancio di fiori dell’hooligan di Bansky preferisco mille volte il mio amatissimo che scaglia un guanto di lattice gonfio d’acqua e rabbia contro la malvagità del mondo:
una granata dirompente, magnifica, inesorabile e bellissima
Foto di copertina: Canon EOS 5D mark II con Nikkor AS-Auto 50mm F1:1,4 e adattatore Fotodiox, jpg B/N nativo senza postproduzione