Riflessioni Senza Categoria

Mi ricordo

sabato 26/09/20

Mi ricordo, era quattro anni fa, l’ultima estate passata prima della separazione.

Era da anni che non pescavo per problemi di salute, mio figlio aveva sette anni e mezzo, non mi aveva praticamente mai visto pescare. Io e la madre avevamo già deciso di separarci ma andammo a fare questa vacanza al Camping dell’Isola, a Marina di Camerota, di fronte a quell’isolotto splendido.

Il villaggio, mezzo campeggio mezzo villaggio, era pieno di pescatori. Quando andavo in acqua ― come sempre facevo da anni ― con due arbalete, uno corto da 75 e uno medio da 100 col doppio elastico, suscitavo una certa ilarità da parte dei “colleghi” purtroppo, a causa di scarsa fortuna, non pescanti.

Non conoscendo il fondale il primo giorno feci il giro dell’isola, già sapendo che avrei portato a casa solo l’umido, però in chiusura di pescata, passando per il canale che la separa dalla terraferma, faccio un aspetto…e sbaglio clamorosamente una bella orata di un chilo circa.

Tornando passai sotto le lenze di alcuni “colleghi” che mi chiesero se avevo visto qualcosa, gli risposi, già consapevole del fatto che non ci avrebbero creduto, dell’orata e dei serracchiotti che vedevo girare nervosi sotto costa.

Passarono i giorni con poca pesca e qualche piccola cattura, saragotti, cefali ma niente di che. Un giorno vidi che il tempo si stava guastando, quel tanto da stimolare qualche bel pezzo a girare sotto costa, decisi di andare, e per una volta andai leggero, solo col 100.

Qualcuno degli espertoni mi chiese: dove vai?
E io: nel canale, la in mezzo, mi sa che passa qualcosa.
Loro: ma dove vai? La non passa mai niente!
Parlando li vedevo sorridere sotto i baffi, li immaginavo dire sottovoce “ma questo non è buono proprio” o roba del genere.

Il tempo davvero aveva mescolato le carte…e le acque, la risacca, non cattiva ma costante, intorbidiva l’acqua. Temevo la peggiore delle cazzate, essere sceso senza il fucile corto con scarsa visibilità, ero al limite però, a dirla tutta, senza mulinello il corto una bella bestiola avrebbe avuto grosse difficoltà a farmela portare a casa. Sono fiducioso e, dopo meno di un’ora mi acquatto nelle posidonie, in quattro metri d’acqua, aspetto, c’è nervosismo attorno a me, e poi…arriva.
Nel torbido una specchiata fulminea e larga mi fa sparare sicuro del pescione ma temo di non averlo preso poi…ecco lo strattone, e il mulinello fischia, cazzo se fischia!
Allora il timore che arriva è di non averla presa bene, che si possa strappare, e allora io non forzo, ma tira lei cazzo!
Ci metto cinque minuti che sembrano una eternità, tirando il dyneema da 1,5mm piano, avvicinandomi, mi ha aggrovigliato tutto il filo e sto attento a non farmi legare anche io.
A un certo punto ci sono vicino, la vedo, non c’è male, è un bel pesce davvero.
Non posso doppiarla con un secondo fucile, devo prenderla con le mani, sembra stanca ma è garantito che darà fondo alle sue ultime forze, e lo fa.

Al primo tentativo mi fa mollare la presa della coda, e io impreco e mi preoccupo poi mi faccio coraggio e ci riprovo, la tengo, si sbatte come un’ossessa ma la tengo…la presa è salda, infilo l’altra mano nelle branchie con forza e la tengo, mollo la coda e prendo il pugnale, la finisco, la guardo, caccio la faccia dall’acqua, tolgo il boccaglio e urlo.

Non è gioia, è l’appagamento del predatore, sei felice ma non esulti perché hai ucciso, è una soddisfazione ma rispetti la preda, glielo devi.

Mi guardo attorno, decine di metri di filo imparruccato mi circondano in acqua come un supplizio ineluttabile. Metto la leccia nel cavetto attaccato alla boa, poi sfilo l’asta dal corpo del pesce ―mai farlo prima di averlo infilato nel cavetto ― dedico almeno un quarto d’ora allo sgarbugliamento in immersione…coi guanti. La tentazione di tagliare tutto è pressante ma resisto e, alla fine, vinco.

Organizzo tutto per ripartire, ogni tanto la riguardo, poi ricarico il fucile e mi dirigo verso terra, non si sa mai. Rifaccio qualche aspetto ma sono poco concentrato, sono appagato e impaziente di vedere la faccia di mio figlio.

Arrivo a terra, e faccio per uscire con la boa, il fucile e le pinne lunghe in mano, solo alla fine prendo il pesce e lo faccio uscire dall’acqua. Ecco, le prime reazioni, per fortuna sono poche le persone, una amica mi fa subito delle foto, qualcuno bisbiglia stupefatto, mio figlio invece non capisce bene come ho fatto, tutti sono meravigliati, io sono felice ma imbarazzato, come lo è mio figlio, non è a suo agio con l’attenzione di tutti su suo padre.

Dopo essermi organizzato, per fortuna le persone erano ancora poche, mi muovo verso le docce, passando davanti al bar dove c’è Sergio, il giorno prima eravamo andati insieme a pesca col suo gommoncino, gli grido “Sergio!” tenendo alta la leccia.

Anche lui è felicissimo.

Mi ricordo., image #2

Mi svesto e mi lavo, organizzo il borsone, intanto la notizia ha fatto il giro del villaggio.

Salgo verso il ristorante della struttura, il che implica che attraversi la sua intera lunghezza, scortato da mio figlio e da una sua amichetta. I “colleghi” guardano con la coda dell’occhio, non parlano quando passo di fianco a loro, però si sono guadagnati delle postazioni con una buona visuale in attesa del passaggio. Fanno finta di niente eppure il pesciotto si fa notare, i bambini, anche i loro figli, li chiamano fragorosamente per avvertirli ma niente, c’è un granellino di sabbia da togliere dall’unghia, un messaggio urgente da visionare sullo smartphone, una incredibile formazione di uccelli migratori da ammirare…

Mio figlio è assai infastidito, ma anche eccitato, dagli sguardi di tutti, mi dice che ho preso un pesce “leggendario”, e in effetti lo è, chiuso in una camera sterile per una leucemia, qualche tempo prima, mi chiedevo se mai fossi riuscito anche solo a tornarci in acqua.

Arriviamo al ristorante, lo pesiamo, è circa sei chili, mio figlio, che prima non voleva farsi ammirare, mi dice che in piscina ci sono dei ragazzini che non lo hanno visto, mi viene da ridere, gli dico che non fa niente, mi sembra un poco deluso della risposta ma non è un trofeo, è una preda, va rispettata.

Ero tornato, in un altro ambito della mia vita, a vivere, mio figlio aveva finalmente conosciuto una parte di me che non conosceva, l’ho fatto mentre stavo chiudendo un altro capitolo della mia vita, fra qualche giorno avrei lasciato la casa in cui vivevamo.

Era quattro anni fa, mi ricordo.

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Illustrazioni Federica Macera