Arte Riflessioni Senza Categoria

Il sol dell’avvenire

Non è colpa del comunismo se il comunismo non funziona

02/05/23

Ieri sera sono andato a vedere l’ultimo film di Nanni MorettiIl sol dell’avvenire“, con la mia compagna.

Mi è difficile essere obiettivo con Moretti perché sono cresciuto (anche) coi suoi film. “Ecce Bombo” l’ho citato casualmente anche nel mio libro, come “Caro diario“, ancora più vicino al libro per tematiche e intenzioni, la scena iniziale di “Bianca” mi colpì molto, mi fece amaramente sorridere quando esortava quel “socialista fabiano” di Massimo D’Alema a dire qualcosa di sinistra, mi piace il suo rapporto con l’acqua clorata, molto simile al mio, adoro la sua avversione per i neologismi, gli anglicismi e tanto altro, quindi, rinuncio ad esserlo.

Lui resta politicamente schieratissimo, incomprensibilmente per me, a sinistra. Io ho smesso da tempo di catalogare le persone dividendole fra quelle di destra e quelle di sinistra, semmai il criterio che uso è differenziarle fra quelle che stanno sopra e quelle che stanno sotto, criterio diametralmente opposto al precedente. Questo ci divide.

Il film gioca fra i ruoli e le trame, sovrappone la vita del regista, Nanni Moretti stesso, con quella del film che il regista sta girando. Gioca con lo spettatore e questo gli consente una serie di divagazioni, anche surreali, spesso imperniate su citazioni musicali, di un certo pregio.

Anche la parte prettamente visuale è a un livello successivo, cosa che lo mette in condizione di omaggiare illustri precedenti, a partire da scene apertamente felliniane, circensi.

I particolari sono importanti(semicit.), proprio come le parole . Le piccole cose, quelle che ci rendono umani, accadono subito, come per le particolari calzature della protagonista, un tema che ritornerà con una cadenza percepibile a mostrarci le nostre piccole manie. L’escamotage funziona, ci riporta le nostre intime reazioni che danno sapore alla vita. Lo scherzo è serio, ma pure delicato.

Ho apprezzato molto la scrittura del conflitto di coppia, una autocritica ai limiti propri del protagonista ― anche qui commetto il peccato di immedesimarmi in lui, con le mie mille mancanze e perversioni distruttive ― anche nella sua trasposizione in un giovane cervellotico, una autocritica con livelli di racconto e di lettura plurimi.

L’umanità raccontata dal film è affascinante, raccontata con partecipazione. La recitazione di Moretti è inquietante, volutamente forzata, altèra come al suo solito, in assoluto contrasto con quella perfetta e virtuosa degli altri interpreti, con i quali gioca improvvisamente, frantumando gli schemi, e lo fa proprio nel momento in cui ti stai abituando alla trama, proprio come fosse un film “normale“.

Un momento eccezionale l’ho gustato quando “prende in ostaggio” l’intera troupe che sta per girare la scena della “esecuzione” per il film prodotto dalla moglie, Margherita Buy, interrompendo, da perfetto maniaco ossessivo, la più becera quanto scontata violenza gratuita dei prodotti audiovisivi ― impossibile definirli film ― contemporanei. Qualcosa che vorrei fare davvero molto spesso.

In questo frangente cita anche Krzysztof Kieślowski, lo usa per spiegare come e perché andrebbe trattata la violenza, telefona a Renzo Piano per chiedergli un parere in merito, non contento chiama altri intellettuali, arriva anche Corrado Augias ― personaggi che non amo ma che devo riconoscere di grande spessore ― per poi, nel momento in cui sarebbe diventato fastidiosamente autocelebrativo, chiamare Martin Scorsese e… parlare alla sua segreteria scongiurando il pericolo con una gradevolissima autorionia.

Ma c’è anche qualcosa che non mi piace, sebbene si trovi incastonato nel film in modo affabile e piacevole, e che è sempre presente. Non mi è piaciuta la “critica postuma”, assolutoria, al PCI filosovietico. La critica comincia subito, all’inizio del film, in una riunione plenaria con la troupe, quando strappa il manifesto con Lenin e Stalin, nella manifesta intenzione di cancellare il secondo giudicato, correttamente, un dittatore.

Questo concetto è declinato con varie modalità durante l’intero film, un concetto palese ed espresso, con una apoteosi nel finale in cui immagino desideri citare apertamente il quadro “quarto stato” (Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1901) in cui tutta o quasi l’intelligencija cinematografica italiana desinistra sfila, su Via dei Fori Imperiali a Roma, con un’estetica felliniana.

quarto stato“, Giuseppe Pellizza da Volpedo 1901

Nanni Moretti vuole trasferirci l’idea che il PCI, se solo avesse avuto il coraggio di sganciarsi dall’influenza sovietica in occasione della rivoluzione ungherese del 1956, avrebbe potuto realizzare l’utopia comunista in Italia.

Su questo però divergo nettamente da lui, ritengo che l’utopia comunista abbia dimostrato infallibilmente di essere devastante, spesso responsabile delle peggiori dittature e brutture che l’essere umano abbia mai sperimentato, ma è solo un aspetto del tutto, una personalissima opinione.

Quello che trovo assurdo, e pure oggettivamente, è che si metta un tema del genere sul tavolo, chiaramente e legittimamente ideologico, il “contrasto ai totalitarismi” senza tenere in alcun conto la storia degli ultimi tre anni.

Fare i “comunisti“, gli “antifascisti a fascismo morto“, e non contrastare quelle stesse identiche dinamiche quando sono contingenti, quando ti si consumano davanti agli occhi, per giunta governate proprio dagli eredi culturali del PCI, è incoerente, miope, pretestuoso, connivente, complice.

La mia critica non è al film, che mi è piaciuto e mi ha divertito, la mia critica è tutta e solo al messaggio politico che il film vuole dare e che interpreto così:

Il PCI “avrebbe potuto” realizzare il paradiso in terra

No, non è affatto così, però bravo Nanni.


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Illustrazioni Federica Macera