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A che serve scrivere?

È quel momento, è arrivato, è il momento in cui ti fai la domanda fondamentale: a che serve quello che sto facendo?

Sono anni, ormai è un decennio buono, che mi affanno a raccontare quello che non va perché, almeno all’epoca, sarebbe bastato capirlo per invertire la rotta senza stravolgimenti e sono rimasto convinto, sbagliandomi, che la situazione sarebbe rimasta sempre quella, rimanevo imprigionato da questa mia illusione nel mio sterile ruolo di Cassandra.

Oggi ero a Piazza del Popolo, c’era la manifestazione nazionale contro il green pass, c’erano diverse persone che stimo, una di queste parlava dal palco, una ventina di giorni prima avevo condiviso questo onore con lui e altri, anche alcune persone con cui condivido quello di creare contenuti sulla stessa piattaforma di informazione ― badate che non è contro-informazione, è informazione, quell’altra è solo propaganda ― stazionavamo tutti sugli stessi sanpietrini a sudare per sentirci umani.

La piazza era divisa, in fondo c’erano i bulldog di Forza Nuova ― da sempre in odore di MI6 e Massoneria ― a creare attriti, a cercare disordini, volevano lo scontro perché “la piazza sono loro“, dicevano che “è del popolo“, che sarebbero loro, sempre secondo loro.

Beh, non è così, ne fanno le spese, una volta evitato il peggio, il gruppo di Nonna Maura e del giudice Giorgianni, separati dal palco da un cordone di poliziotti che fermava i mastini, magari probabilmente non solo da questo cordone, l’arcipelago di noi divergenti è variegatissimo.

Tutto quello che è stato detto lo trovo più che condivisibile, resta però il solito repertorio di crimini, di violazioni del diritto umano e naturale, di abomini che conosciamo da troppo tempo perché possa ancora avere un valore attuale.

Lo spirito inquieto di Giuseppe De Donno fa capolino da parecchie immagini e striscioni, è stata una notizia che, comunque la si legga, ha ferito tutti noi profondamente. Una notizia assente dal mainstream…

intanto diversi personaggi arringano alla folla perché vogliono proporsi, appunto, come personaggi: i politici in cerca di elettorato, anche di nicchia, abbondano.

Ho già assistito al fenomeno con Alberto Bagnai, per citare un esempio molto alto, e anche con quei deficienti criminali dei 5s, per citare invece un esempio infimo, ed ecco che la garanzia di fallimento si insinua nelle pieghe più recondite della mia anima, senza alcuna pietà per la mie illusioni.

Oggi ce ne stavano diversi, di politici diciamo, principalmente gente che ha una notorietà acquisita sui social, spesso divulgando anche cose interessanti, altri che vengono da lunghe militanze, altri dall’accademia, tutti che tenevano la piazza (quasi) da professionisti navigati.

Mi ricordo di situazioni più o meno simili, più di trenta anni fa, la parte “spettacolarizzata” c’era sempre, solo era inscritta in quella di contenuto, spesso se non sempre il contenuto stesso era uno spettacolo, ti risuonava dentro sorprendendoti perché ti rivelava quello che non ti era dato comprendere da solo. Era tutto differente.

Per quelli che sono meno giovani come me e che hanno vissuto la prima (unica) Repubblica, significa rassegnarsi alla tragedia che un Craxi, un Andreotti, un Cossiga, non nasceranno più, il dramma devastante è umano oltre che politico.

Mi ricordo sempre pure di Paolo Rossi Barnard ― uno che si è talmente rotto il cazzo che poi ha cominciato a dare volutamente i numeri ― quando, sull’onda emotiva di quelli che volevano “cambiare il mondo” coi social forum, le canne, le chitarre e i fiori, scrisse, in controtendenza come sempre, sviscerando la sconfitta assoluta di tutti noi in assenza di una ben diversa presa di coscienza. Una coscienza che, chiaramente, non sarebbe mai arrivata.

Barnard qui in qualche modo mi ha dato una risposta a cui non voglio credere ma che ritengo vera su quanto faccio: scrivere.

Dobbiamo capire dove andare a parare, le elites lo sanno, noi non siamo consapevoli neanche di dove andiamo ad evacuare.

Ho spesso detto che un modo c’è di comprendere cosa fare, un metodo banale e semplice, una cosa da judoka, sfruttare la forza ― purtroppo immensa ― dell’avversario contro di lui.

Sfruttare il suo peso e la sua potenza tirandolo e sbilanciandolo, facendolo cadere, non possiamo di certo contrastarlo frontalmente, lo dobbiamo spingere di lato e tirarlo giù.

Si può fare, semplicemente restaurando quanto hanno distrutto, ritornando indietro verso il dettato costituzionale, ma non basta, è solo una parte di quello che dobbiamo fare.

Se siete sulla strada sbagliata, il progresso significa fare una svolta e tornare indietro sulla strada giusta: in tal caso, l’uomo che torna indietro più presto è il più progressista.

C. S. Lewis

Dopo la fine dei totalitarismi del XX secolo ― tranne il comunismo sovietico che continuò indisturbato come quello cinese ― l’occidente si trovò a dover metabolizzare il nazionalsocialismo e il fascismo, i regimi peggiori che abbiamo mai conosciuto, ma i record sono fatti per essere superati.

Siamo riusciti a codificare principi e leggi di immensa bellezza, frutto dolcissimo delle peggiori violenze, norme che aggredivano le dinamiche stesse di quei mostruosi abusi dell’uomo sull’uomo.

Quei codici sono stati trasformati in “carta da culo”, distrutti tanto quanto la liturgia democratica, aspetto assorbente che, quando infranto, annichilisce la stessa democrazia.

Oggi, oltre a “fare una svolta e tornare indietro sulla strada giusta” per restaurare quanto vaporizzato dal pretesto di questa influenza, dobbiamo codificare questo orrore come dinamica e trovare dei codici efficaci per proteggere l’umanità.

Sento necessario ma non sufficiente stilare un programma vero, sintetico ed efficace, che possa coalizzare la cittadinanza verso un obbiettivo condiviso, a tutela di tutti.

Sono preoccupato per le troppe primedonne, per le malcelate ambizioni personali, siamo nelle condizioni di veder cessare l’umanità per quel che era, non c’è spazio per l’ego, o supereremo questo abominio come collettività o nessuno ce la farà.

Mi piaceva quello che eravamo, quando ci si organizzava per far crescere bene i nostri figli, ci si preoccupava di farli socializzare invece di distanziarli, quando abbracciarsi era qualcosa di bello, quando ritrovarsi per un rito laico in un teatro era una catarsi collettiva, quando il sorriso della donna che ci piaceva non era celato, quando i nostri occhi incontravano visi e non vergognose maschere.

Dobbiamo tornare indietro per andare avanti.

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Illustrazioni Federica Macera